AIC Camp 2021 a Rocca Priora, incontro online con… Simone Perrotta!
Simone Perrotta, Campione del Mondo con l’Italia ai Mondiali di Calcio 2006 in Germania, è stato protagonista in un evento online sulla piattaforma Zoom, organizzato dal Rocca Priora Calcio, dove è intervenuto per parlare del camp estivo per ragazzi che si svolgerà allo stadio Montefiore di Rocca Priora.
Durante l’evento, moderato da Gennaro Draicchio, direttore generale del Rocca Priora RdP Calcio, Simone Perrotta ha risposto a diverse domande.
Presenti alla “riunione” virtuale anche Marco Amelia, Campione del Mondo nel 2006 come Perrotta, e Francesco De Santis, assessore allo Sport di Rocca di Papa.
Qual è stata la tua prima scuola calcio?
“Fino a 6 anni ho vissuto in Inghilterra (dove è nato, ndr), per cui non ero tesserato con nessuna squadra. Giocavo al campetto di scuola, ho dei ricordi vaghi di partite interminabili con i miei fratelli e mio zio. Poi mi sono trasferito in un paesino della Calabria, dove giocavo a Calcio a 5 in un campetto. Dall’età di 7 anni ho trascorso 2 anni nella squadra del mio paese, con i Pulcini, giocando a 7, poi sono entrato in una società più importante, il Castrolibero, che allora aveva solo il settore giovanile. A 14 anni, dopo un provino con la Reggina, mi sono trasferito a Reggio Calabria, dove ho iniziato il mio percorso”.
Nel libro “Scuola di calcio, scuola di vita” c’è una tua prefazione che parla di sogni, rinunce, desideri e gioie di un bambino che vuole giocare a calcio. Qual è l’importanza della scuola calcio per il settore giovanile?
“Il sogno di diventare calciatore richiede sacrifici e rinunce, come lasciare casa e affetti familiari: ricordo che i primi giorni piangevo al telefono perché volevo tornare a casa, poi ho trovato sulla mia strada un allenatore che mi ha capito e che mi ha protetto da tutto quello che era per me troppo grande. Con grandissimo sacrificio sono arrivato anche al diploma. Fare il calciatore necessita di tante cose che vanno al di là dell’aspetto calcistico: quando gli altri uscivano, andavano in discoteca ecc., io stavo a casa a rimuginare per una sconfitta o a gioire per una vittoria. La propria vita va incentrata sul calcio, inteso, però, come accompagnamento alla vita. La nostra responsabilità deve essere quello di far vivere l’esperienza calcistica nella maniera più giusta e più sana possibile: chi diventa calciatore deve portare avanti dei valori”.
Dal 2013, terminata l’attività agonistica, sei diventato un dirigente. Più facile fare il calciatore o stare dall’altra parte della scrivania?
“Sono due cose diverse, ma fare il calciatore è più facile, perché sei tu che paghi in prima persona o che hai gratificazioni per quello che fai. Fare il dirigente è più complicato, come fare l’allenatore: l’allenatore cerca di trasmettere delle idee, che poi i calciatori devono esprimere in campo, il dirigente deve interfacciarsi con altre persone. Io ho sempre avuto una grande sensibilità nei confronti dei ragazzi, probabilmente perché avevo dei figli piccoli e vedevo come si svolgeva l’attività giovanile. Per questo volevo portare una cultura che non guardasse solo al talento, ma che desse a tutti la possibilità di crescere attraverso il calcio: sconfitte, vittorie, condivisione dello spogliatoio, confrontarsi con altri calciatori per arricchirsi come persona… Il ruolo di dirigente è un ruolo serio, di responsabilità, che non si può ricoprire alla leggera, perché ne va del futuro delle nuove generazioni. Dobbiamo portare messaggi sani e valori positivi”.
Quanto può essere importante il tuo ruolo quando un giovane è in difficoltà, ad esempio davanti a un infortunio?
“Non ho mai avuto infortuni gravi, se non una rottura del menisco, che oggi si guarisce in poco tempo, ma che allora mi diede parecchi problemi: rimasi 60 giorni senza camminare. Era il periodo in cui giocavo nella Reggina e stavo per firmare con la Juventus. Fortunatamente incontrai un dottore che capì la situazione e con una puntura mi fece passare tutto. Un calciatore deve essere ‘resiliente’, come si dice oggi: bisogna resistere, reagire alle situazioni, avere personalità e capire che nel calcio, come la vita, ci sono gli ‘up’ e i ‘down’, senza esagerare con l’euforia o con la sfiducia”.
Puoi dirci qualcosa sull’AIC camp di questa estate a Rocca Priora? Quali valori volete trasmettere?
“Per una settimana saremo in contatto coi ragazzi e, oltre a curare l’aspetto tecnico, parleremo di fair play, bullismo, uso consapevole dei social… insomma, questioni non solo calcistiche, ma educative. Il camp è una tappa focale del nostro progetto, perché ci permette di entrare in empatia con i ragazzi. Per noi è un motivo di grande gioia stare a contatto con loro e trasmettere loro qualcosa che vada al di là del calcio. Il nostro obiettivo è costruire una società eticamente giusta, in questo senso lo sport è un luogo ideale per inculcare valori positivi”.
Quali sono i valori che le aziende possono trasferire ai giovani sportivi?
“Sicuramente noi tecnici abbiamo una grande responsabilità: trattiamo anche temi molto delicati, come il bullismo, che a volte è difficile distinguere dallo scherzo. Lo sport può insegnare a gestire le situazioni, sia piccole che grandi, nella maniera più giusta. Bisogna fare in modo che tutti abbiano come ultimo fine il benessere del bambino: è fondamentale che un dirigente e un allenatore abbiano una formazione non solo tecnica, ma anche pedagogica”.
Negli anni in cui hai giocato nella Roma e sei diventato Campione del Mondo, hai avuto qualche contatto con i Castelli Romani? Se sì, conosci bene la nostra zona, o c’è qualcosa della nostra zona che ti piace particolarmente?
“Ai Castelli si mangia bene: mi è capitato spesso, soprattutto quando non si giocava la domenica, di andare a pranzo ai Castelli. Ci sono venuto tante volte anche da allenatore. Lì il calcio è vissuto molto intensamente, si vede che c’è una grande passione e che c’è una grande voglia di entrare in ogni situazione calcistica. Mi piacerebbe andare in qualche società in cui ho avuto dei problemi per far capire i valori che bisogna trasmettere”.
Oltre a Rocca Priora, hai avuto contatti con altri Comuni dei Castelli Romani per progetti, tuoi personali o per i ragazzi, legati al calcio?
“Per due anni siamo stati a Grottaferrata con una nostra affiliata, due anni molto intensi e belli e sempre con i ragazzi. Un’esperienza molto importante e che mi ha dato tanto”.
Qual è stata la tua emozione nel diventare Campione del Mondo dopo il rigore decisivo di Grosso?
“Io ero stato sostituito prima dei rigori, per cui ho avuto sentimenti contrastanti: dal pianto alla gioia in pochi secondi e un’enorme incredulità quando Grosso ha segnato. Più passa il tempo più assaporo quello che abbiamo fatto, che mi è sembrato persino assurdo. Vincere un Mondiale mi ha cambiato molto, soprattutto sotto l’aspetto della professionalità, perché quando hai addosso l’etichetta di ‘Campione del Mondo’ devi per forza cambiare e maturare”.
Luca Rossetti
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