Il terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva: per una crescita armonica
Il neuropsicomotricista (Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva) è una figura, talvolta, indispensabile per lo sviluppo armonico dei pazienti in età evolutiva. Ne parliamo con le dottoresse Alessia Salerno e Marta De Magni, del Centro Polispecialistico “L’Albero della Vita” di Ariccia, per fare chiarezza su una professione poco conosciuta alla collettività, ma certamente apprezzata nel mondo sanitario.
Una figura sanitaria certamente giovane rispetto alla storia della medicina, ma che risale comunque agli anni ’60, grazie all’intuizione del professor Bollea. In Italia, però, il Ministero della Sanità ha riconosciuto il neuropsicomotricista solo nel 1997, con il decreto n. 57.
Sfatiamo subito un’incongruenza. Parlare di neuropsicomotricista non è corretto: il nome esatto di questa professione è Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva, il cui acronimo è TNPEE. Un nome complicato da ricordare – sebbene il ruolo sia fondamentale – e per questo oggi in uso la versione “semplificata”, anche se impropria, di neuropsicomotricista.
Il Terapista della Neuro e Psicomotricità dell’Età Evolutiva lavora in ambito sanitario pubblico e privato ed è una figura il cui impiego è fortemente in crescita, soprattutto negli ultimi periodi, in cui è stato inserito, ad esempio, anche nei reparti di terapia intensiva neonatale o in altri settori educativi.
Per spiegare chi è e cosa fa il TNPEE iniziamo a dire che si occupa esclusivamente della età evolutiva, quindi nella fascia tra gli 0 e i 18 anni. I suoi interventi sono mirati a prevenire e trattare tutte le difficoltà riscontrate durante la crescita, come il ritardo psicomotorio, il disturbo della coordinazione motoria, ma anche della sfera neurologica (disturbi neuromotori e sensoriali), i disturbi specifici dell’apprendimento, (trattati nel precedente numero nell’articolo “Quei ragazzi con caratteristiche speciali”), disturbi da deficit di attenzione, iperattività, impulsività, dello sviluppo intellettivo, ma anche dello spettro autistico.
Gli obiettivi che si pone il TNPEE, sempre calibrati e costruiti sul bambino, sono quelli di sollecitare i processi di riorganizzazione funzionale, sviluppare le potenzialità esistenti nel paziente, accrescere l’autostima, promuovere l’organizzazione delle competenze emergenti e sostenere l’integrazione delle funzioni motorie percettive.
La necessità di intervenire sui pazienti si presenta spesso su un quadro clinico già definito e in presenza di patologie acclarate, ci dice la dottoressa De Magni, come paralisi celebrali infantili o distrofia muscolare. Altre volte, invece, la diagnosi di riferimento si scopre con il tempo e si lavora sui ritardi riscontrati.
Spesso sentiamo parlare di bambini pigri, afferma invece la dottoressa Salerno, ma quella che definiamo pigrizia possono essere segnali che il bambino ci lancia e che dobbiamo saper cogliere per favorire una crescita adeguata. I campanelli di allarme per i genitori, soprattutto per i bambini nei primi mesi di vita, possono essere, per esempio, un ritardo della motricità, afferma la dottoressa Salerno, che, con la giusta stimolazione si può risolvere spontaneamente. I primi tre anni di vita di un bambino sono caratterizzati da una plasticità cerebrale accentuata che favorisce l’apprendimento, è quindi fondamentale intervenire il più tempestivamente possibile, in modo precoce.
La nostra figura, prosegue la dottoressa De Magni, lavora a 360° nell’ambito di tutto lo sviluppo del bambino includendo quindi l’area motoria, prassica, ludica, quella cognitiva, della comunicazione del linguaggio lavorando secondo le esigenze del bambino considerato ovviamente il momento di crescita e l’età.
Il gioco è lo strumento di elezione del TNPEE, attraverso il quale si stimola il bambino al raggiungimento degli obiettivi prefissati Il lavoro viene spesso svolto in collaborazione con altre figure professionali, nonché fondamentale il ruolo della famiglia e della scuola, tutti insieme si fa fronte comune per far arrivare al bambino gli stessi stimoli, in modo che il piccolo paziente abbia degli input chiari.
Le sedute vengono svolte in una stanza è sempre strutturata in maniera ben definita con zone differenziate per le varie attività, diversificate e pensate per ogni bambino, ogni gioco viene dunque adattato alle finalità terapeutiche.
Il gioco è l’espressione dei bambini e attraverso il modo in cui il bambino usa anche gli oggetti per giocare un “un occhio clinico può cogliere dei segnali che possono indicare uno sviluppo meno armonico, mentre il nostro obiettivo e quello di riuscire ad aiutarlo a crescere nella maniera giusta”.