Indietro nella memoria del solstizio: la tradizione del giorno di Santa Lucia
Lungo è il percorso dell’agiografia, vale a dire della tradizione delle narrazioni sui santi, dalle sue origini popolari, dai suoi sviluppi storici e teologici, fino al tempo presente.
In epoca tardo antica, vale a dire negli ultimi secoli dell’Impero Romano e in quelli immediatamente successivi alla data di riferimento del 476 d.C., le vicende delle prime comunità cristiane e, soprattutto, le storie dei primi martiri prendono gradualmente la forma di una memoria ampia e condivisa, molto spesso anche tra coloro che non avevano familiarità con il cristianesimo, nel mondo dei ‘pagani’ e nei territori ancora influenzati dall’Impero. Pagus era un termine latino usato per designare il villaggio, un ambiente distinto da quello cittadino.
Nei vasti territori conquistati da Roma, l’impronta delle istituzioni e della cultura romana era tanto forte quanto il persistere dei tratti culturali originari dei territori conquistati. Da una parte, si erano fissate le istituzioni civili e militari, il diritto, la moneta, la lingua latina, e dall’altra era ancora forte la memoria delle tradizioni preesistenti alla conquista romana; spesso, entrambe erano riunite e fuse tra loro in un complesso legame.
La storia di Lucia è riferita nelle fonti, alcune molto antiche, come la versione in lingua greca della Passione e i Martirologi risalenti alla fine del V secolo, altre di epoca medievale e rinascimentale, ovvero la Legenda Aurea di Jacopo da Varazze (XIII secolo), e le Cronache di Norimberga , redatte nel secolo successivo (fine XV secolo); ma esiste anche una testimonianza del culto di Lucia risalente ancora all’epoca tardoantica (databile all’incirca tra fine del IV e l’inizio del V secolo), un’iscrizione greca rinvenuta alla fine dell’Ottocento nella catacomba di San Giovanni, a Siracusa, ovvero proprio nella città dove nacque la giovane.
Lucia aveva, secondo quanto riferito, appena vent’anni quando fu martirizzata. Vissuta all’epoca dell’imperatore Diocleziano (284- 324), ebbe in sogno la sua vocazione e la profezia del suo martirio da un’altra martire cristiana, sant’Agata, il cui sepolcro situato a Catania era già conosciuto e venerato, dal momento che Lucia vi si recò con la propria madre per chiederne la guarigione da una grave malattia. In seguito al sogno di Lucia, sua madre ottenne la salute sperata, e la giovane decise di consacrare la propria vita, rinunciando al promesso sposo e ai suoi beni; tuttavia, tradita proprio dal suo futuro sposo, fu riconosciuta e arrestata come seguace del culto cristiano, e dunque le fu imposto il martirio.
Sottoposta a processo, fu minacciata di essere esposta in un postribolo, ma nessuno riuscì né a piegare la sua purezza e la sua virtù, né a muoverla, nel senso concreto, perché il suo corpo divenne per miracolo pesantissimo, tanto da non poter essere costretta con la forza. Lucia fu martirizzata con il fuoco, le furono spezzate le ginocchia, infine fu decapitata (secondo le fonti latine, le fu infisso un pugnale in gola). Prima di morire, si dice che profetizzò la fine dell’impero di Diocleziano, e secoli futuri di pace per la Chiesa.
Il supplizio della privazione degli occhi sembra del tutto mancante nelle versioni del martirio redatte prima del XV secolo, anche se alcuni teologi tendono a riconoscere alla Passione latina un valore di veridicità pari a quello delle fonti più antiche, sulla base di elementi lessicali e linguistici. Il nome stesso di Lucia ha in sé stesso, nella propria etimologia, il senso di ciò che è luminoso e legato alla luce. In casi come questi, non possiamo sapere quanto hanno influito nella memoria del nome della santa la sua effettiva biografia e la tradizione, quella cristiana tanto quanto quella pagana.
Sicuramente, Santa Lucia divenne già nel Medioevo una figura molto importante della cristianità, ben fissata nella costellazione dei santi e beati più noti. La radice del nome riferisce il senso più autentico del culto di santa Lucia, e ci riporta al modo in cui nella memoria il ‘nuovo’ personaggio cristiano è stato ricondotto all’ombra della figura più antica, quasi certamente ancestrale, che animava il culto primordiale della luce.
Non si tratta di una doppia identità, ma piuttosto di una molteplicità di caratteri e di vite che confluiscono in una stessa via, quella del sacro femminile legato alla luce, nella memoria collettiva, e riflesso a sua volta in una molteplicità di culti e celebrazioni.
La tradizione pagana riconobbe in Lucia una delle figure più autentiche della spiritualità, e del senso del sacro legato natura. I cristiani, da parte loro, collocarono la biografia della santa nel solco del calendario cristiano, fissando nella data del 13 dicembre il giorno della sua celebrazione, in coincidenza con il solstizio d’inverno, e questa corrispondenza originaria venne meno solo con l’introduzione del calendario gregoriano nel 1582, che staccava di 10 giorni il solstizio dalla data di morte tradizionale di Lucia. Il culto di Santa Lucia è diffuso in Italia e nella tradizione cattolica in generale, ma la data del 13 dicembre è nota e celebrata nelle tradizioni protestanti del nord Europa, in Svezia soprattutto, in costante associazione con il solstizio d’inverno, il giorno più corto dell’anno.
L’atto di portare in processione candele accese, spesso portate da una giovane vestita di bianco, l’accensione di falò, l’uso di donare dolci e frutti ai bambini, il riferimento al grano e ai cereali, e a creature come la quaglia e l’asino, quindi animali domestici, ben presenti nella vita quotidiana, almeno nei secoli passati, sono tutti elementi ricorrenti della tradizione del culto di Lucia.
La corrispondenza con gli antichi rituali che segnavano l’inizio delle celebrazioni del solstizio d’inverno è davvero profonda, sostanziale: il culto di Lucia richiama da vicino quello di Demetra, della divinità sabina Lucina, di Artemide, quest’ultima particolarmente venerata in Sicilia, che della stessa Lucia era il luogo di origine. L’essenza del rituale antico sta in una percezione dell’appartenenza alla natura delle cose, nella partecipazione agli eventi celesti, osservati e descritti con cura fin dalle epoche primordiali dell’umanità, e nell’istinto di rappresentare gli eventi naturali in una dimensione direttamente visibile e oggettuale.
Il rito, come rappresentazione sacra, consiste nella scelta simbolica di elementi concreti, appartenenti alla realtà dell’uomo e alla sua esperienza materiale, che vengono disposti in un modo adeguato a dare l’idea e la percezione di una realtà naturale, o soprannaturale.
Il legame tra queste due dimensioni, tra ciò che fa parte della natura concreta delle cose, e ciò che viene percepito come sostanza immateriale, spirituale, era per gli uomini antichi molto più stretto e sottile di quanto possiamo noi, oggi, immaginare e considerare.
Nel culto di ‘Lucia’, probabilmente, la coscienza degli eventi cosmici e naturali era di principale importanza, e il passaggio dal giorno del solstizio al pieno inverno era scandito attraverso una serie di rituali che iniziavano proprio con l’accensione del fuoco, come residuo e ricordo della luce solare, e come attesa, speranza nel suo prossimo ritorno.
La figura della fanciulla vergine, legata a eventi prodigiosi, a guarigioni, ai cicli della terra, era l’immagine dell’infinita vitalità della natura, che si rinnova nel momento in cui sembra perdersi e morire; con ogni probabilità, la presenza di una fanciulla era un elemento derivato da ancestrali figure sacerdotali e sciamaniche femminili. Il calore del sole, sostituito temporaneamente dal fuoco, racchiuso nei doni della terra, attraverso i gesti subiva una trasformazione preziosa.
Il bruciare, il raccogliere e lavorare quanto la terra offre per trasformare la materia ‘grezza’ in alimento e in oggetti d’uso, significano per l’essere umano compiere l’atto profondo e concreto di incidere sulle cose e, insieme, su sé stesso, un ‘segno’ del tempo e dell’esistenza. Nel sacro, il mistero della natura viene condiviso, e rivela la sua bellezza, diventa fonte di vitalità e meraviglia; alcuni chiamano magia questa meraviglia, e forse, malgrado a noi possa sfuggire tutto questo, non ne hanno torto.
di Crisalide