Ventuno. Le donne che fecero la Costituzione
Parlano le italiane che hanno lottato per i diritti di tutti. Un racconto a quattro mani, di Iantosca e Cappelletto
di Viviana Passalacqua
Gennaio 1948. In Italia vige la discriminazione. Le macerie della guerra e la fame delle borgate nutrono l’ingiustizia che traccia il solco fra ricchi e poveri, colti e analfabeti. Indifesi e prepotenti. Sono dati di fatto, sanciti dalla tradizione e affermati dai rigurgiti di leggi fasciste. Torti generalizzati e, a ben vedere, riconducibili alla più antica delle sopraffazioni, la più insidiosa: quella degli uomini sulle donne, eterna condanna dei popoli che barattano la salvezza con l’illusione di un “ordine” garantito dall’ignoranza.
E’ ancora l’Italia che permette a un marito tradito – o presunto tale – di uccidere sua moglie al prezzo di una pena irrisoria; la patria del “finché morte non vi separi”, a premessa sinistra e irrinunciabile di matrimoni letali, epitaffio di un perbenismo ipocrita che nega il divorzio, costi quel che costi.
Ma è questa, proprio questa, l’Italia che saluta la prima alba del ‘48 con il più prezioso dei doni: la Costituzione, uno fra i testi più belli del mondo. Sa di libertà, profuma di futuro. Vieta le iniquità e celebra il riscatto, a partire dall’inchiostro da cui scaturisce.
Perché fra le 556 penne chiamate a scriverlo, 21 sono penne di donna. Appena il 3,8% del “peso fisico autoriale”. Percentuale ridottissima e, di contro, determinante, cui dobbiamo diritti-doveri basilari come il welfare, le pari opportunità professionali e l’equità salariale, la tutela della fragilità, il perseguimento della pace fra le nazioni. E anche il corollario di norme che da allora al 2012 si sono succedute per onorare la promessa di quel testo: codificazione del reato di stupro come offesa alla persona e non “alla morale pubblica”, legittimazione dei congedi parentali, eliminazione del marchio d’infamia “NN” per i figli di madri nubili. Addirittura la possibilità di indossare in spiaggia il bikini.
“Ventuno – Le donne che fecero la Costituzione”, è il libro di Angela Iantosca e Romano Cappelletto, pubblicato dalle Edizioni Paoline, che finalmente dà voce alle nostre Madri costituenti. Pasionarie della giustizia, partigiane, eroine coraggiose, eppure incredibilmente semisconosciute. Relegate all’ombra dei più famosi Padri, ritenute al massimo comprimarie di successi a firma rigorosamente maschile. Come accade a Teresa Mattei, consegnata alla storia come “quella della mimosa” per la scelta del fiore simbolo dell’otto marzo, e invece coautrice dell’articolo 3 Cost., fondamento dell’uguaglianza – senza distinzione di sesso […] – di tutti i cittadini difronte alla legge. “Poesia”, lo definisce lei. E così è.
Nilde Iotti, Angelina Merlin, Maria Maddalena Rossi, Rita Montagnana, Angiola Minella Molinari, Elettra Pollastrini, Teresa Noce. Sono alcune delle compagne che hanno percorso – prime nella storia – il “corridoio dei passi perduti” di Montecitorio, dove leggenda narra che a tarda sera riecheggi il cammino di chi a suo tempo c’è stato. Di certo il loro fa ancora rumore alla Camera, teatro di appassionate arringhe in difesa dei diritti umani, e nelle nostre vite. Lo sentono le “togate” che hanno avuto accesso in magistratura, lo ascoltano con rispetto le poche che hanno bucato il “soffitto di cristallo”, severo spartiacque fra carriere di uomini e donne, e che pretendono la declinazione “al femminile” della carica ottenuta. “Senatrice, non senatore – esige Adele Bei – perché le parole creano la sostanza che ancora non c’è, mettono in moto il cambiamento”.
Con buona pace di quelle che, 75 anni dopo, restano convinte della superiorità dell’etichetta di “presidente”, passaporto di un successo dovuto, o quantomeno più ampio di quello che è lecito accordare a una presidentessa. Il pericolo sta tutto qui: paradossi anacronistici, negazione, ottusità.
“Ventuno” ci mette in guardia: non c’è traguardo che non vada difeso. Un esempio? Il “delitto d’onore” è stato abolito nel 1981. Eppure lo scorso anno in Italia sono state uccise 77 donne “per amore”.
Benché scritta col sangue, ogni conquista può esserci portata via. Non dobbiamo permetterlo.